Biografia

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Introduzione a La vita Ã¨ sogno

I colori tra noi leggeri

di Ferruccio Giromini

Cominciamo col chiarire subito un aspetto di primaria importanza: l'esatta dizione è Fedriani, e non Frediani. Con quella scivolosa erre posizionata al punto giusto, per cortesia, per carità, e per tutti i diavoli. Un involontario refuso - pronunciato, scritto, stampato (anche in caratteri cubitali!), o solo pensato - rappresenta infatti per il Nostro una piccola nemesi, che lo angaria con molesta insistenza fin dalla primissima età scolare. E si sa come l'infanzia sia l'inconsapevole crogiuolo dei primi traumi, gravidi di conseguenze.

Fortuna che Sergio Fedriani è di buon carattere. Fin troppo (ma di ciò riparleremo più avanti). Nato sotto il segno del Leone, con quel forte animale totemico può condividere la solare luminosità - dei capelli, dello sguardo, del sorriso - non certo l'aggressiva ferinità. Suo tratto predominante è piuttosto una certa rotonda dolcezza, che peraltro traspare più che abbondantemente dalla sua opera. Chi lo frequenta ne conosce bene la paciosità contemplativa, la tendenza ad esprimersi col sussurro, l'abitudine a smussare gli angoli, la coltivata accidia che gli fa sempre preferire la lettura d'un libro all'attività fisica, la chiacchiera rilassata alle tensioni da stadio, il bicchiere di vino sotto una pergola all'ecstasy sulla pista della discoteca.

Il mondo di Sergio Fedriani, quel piccolo mondo sospeso che lo circonda come una bolla di sapone e che lo segue come una fedele nuvola di vapore, è un mondo sottovoce. Beneducatamente altruista, quindi decisamente fuori moda. Intelligentemente ironico, perciò irrimediabilmente antipopolare. Democraticamente aristocratico, dunque politicamente scorretto (infine!).

Però: così come accanto ad ogni astro del giorno ce n'è uno per la notte, anche il solare Fedriani ha le sue lunaticità. Che per fortuna si esprimono ben più nel disegno, benedettissima valvola di sfogo, che nella vita quotidiana. Tale lato oscuro della sua forza, affiorante in certi disegni appunto più notturni, più maliziosi, più anarchici, più beffardi, tuttavia ne aumenta lo spessore, lo movimenta, lo completa. E contribuisce a formare quella personalità artistica che lo caratterizza da sempre, non facilmente definibile proprio in quanto polimorfa.

Lui stesso ha raccontato della propria formazione, anni fa, in modi tanto graziosamente precisi che ci pare giusto riproporli per esteso anche qui:

«Sono nato a Genova il 10 agosto 1949. I primi disegni ho cominciato a farli sui quaderni di bella alle elementari, a illustrazione di dettati. Sui banchi del liceo classico "Colombo" (non l'artistico, purtroppo) ho continuato i miei scarabocchi leggendo di nascosto il primo "Linus" e "Asterix e Cleopatra" e il vecchio caro "Tex" nell'ora di greco. Logica conseguenza fu che sostenni due volte l'esame di maturità.
Finalmente la tanto sospirata facoltà di Architettura mi schiuse nuovi orizzonti. Anni di apprendistato in uno studio professionale come disegnatore tecnico, appassionanti esami di gruppo, piccoli lavori e fascinose esperienze con il "Gruppo Sei" (ma eravamo in otto), e di sera giù ad acquarellare Per conto mio.
Mi laureo nel '75 in Architettura, addirittura con una tesi in urbanistica; indi il militare a Roma, dove ovviamente subisco il fascino delle rovine.
Esercitata per breve tempo la libera professione, mi dedico, non senza qualche rimpianto per la progettazione, ancor più liberamente al disegno. Ciò significa conoscere e riconoscere altri che come me hanno questo interesse, stringere rapporti più che d'amicizia con fumettari poliedrici, incisori alchimisti, architetti illustratori e umoristi rumorosi. A un intenso breve periodo, povero ma felice, denso di viaggi a Milano e di cartelline stropicciate nella calca di Lucca e Bologna, di tante ore passate a parlare e a discutere in stanze piene di fumo, fumetti e vapori di distillati (Nardini, ad esempio)
».

Comincia a chiarirsi così l'humus culturale in cui dirama le sue radici e radicole il virgulto Sergio Fedriani. Da una parte i composti studi classici e dall'altra le scomposte letture avventurose: ecco l'attenzione ripettosa ed amorosa per il passato, ecco il gusto più moderno per la narratività tutta grafica del fumetto. E poi da un lato la solida misurazione degli spazi architettonici e dall'altro l'aerea sfida nonsensica dell'umorismo: ed ecco la scelta di tecniche meticolose come il tratteggio incrociato o l'incisione su metallo, ed ecco l'estrema libertà del segno disobbediente e birbante. Insomma, il rio destino sta già preparandogli una strada di non-allineato, di artista ostinatamente al di fuori d'ogni parrocchia, di produttore d'immagini altalenanti tra i generi e pertanto indefinibili...

Appunto. Le sue prime pubblicazioni, sul finire degli anni Settanta, sono state perlopiù fumetti, ma decisamente sui generis, tanto che non lo si può certo considerare un fumettista "vero". E difatti lo ha riconosciuto lui per primo:

«Da buon finto-fumettista, considero questa esperienza come un momento di ricerca della mia attività di grafico e ad essa strettamente connessa. Mi ha sempre interessato l'aspetto che ha ilfumetto quale crocevia di molti linguaggi o forme espressive: il cinema, la letteratura, la fotografia, il teatro, la pittura, naturalmente la poesia. In alcuni casi ho privilegiato l'immagine sul testo, in altri ho effettuato collages testo/immagini dove è il balloon - diventato didascalia pura e semplice - a venire illustrato».

Ma, in queste sue ricerche ai confini del linguaggio specifico del fumetto, quali autori lo hanno maggiormente influenzato?
L'americano Edward Gorey e l'italiano Dino Battaglia, ammette: due grandi irregolari, manco a dirlo, entrambi in realtà ben più illustratori che fumettari. E in effetti Fedriani si sposta prestissimo sulla produzione di immagini singole, di preferenza ma non necessariamente "umoristiche". I suoi modelli sono nel grande cartoonismo internazionale, ma in quello più colto: per intenderci, quello originatosi nel dopoguerra dalle ricerche, meravigliosamente cosmopolite e semiologiche, dell'ebreo-rumeno-italo-americano Saul Steinberg.

Utilizzare il segno e il disegno, in definitiva, per ragionare - visivamente - sul segno e sul disegno stessi: metadisegnare. Da qui parte la riflessione di Sergio Fedriani, che si pasce fin dall'inizio dell'opera di altri due grandi della grafica internazionale del dopo-'68:Jean-Michel Folon per il colore più delicato e Roland Topor per il bianconero più incisivo. Fusi assieme tutti questi elementi, l'artista genovese può infine proseguire autonomamente.

Ha scritto a questo proposito Emanuele Luzzati, presentandone una mostra personale nel 1993: «Ad una prima lettura superficiale la grafica di Fedriani si potrebbe collocare accanto a quella degli Steinberg o dei Folon, ed effettivamente fra i tre c'è una certa parentela. Mentre Steinberg, però, gioca soprattutto con il tratto e ci sorprende sempre con le sue trovate spesso crudeli, e mentre Folon ci racconta in realtà la storia di un solo personaggio, Fedriani ci porta molto più dolcemente nel suo mondo, le sue battute non sono fulminee come quelle di Steinberg e i suoi personaggi non sono prevedibili come quelli di Folon. Fedriani ci cattura con dolcezza, ci fa entrare nel suo mondo attraverso la poesia e la piacevolezza del colore e solo più tardi ci accorgiamo che i suoi personaggi, le sue trovate, non sono così teneri come sembrano a prima vista e spesso ci lasciano con la bocca amara».

È un fatto, comunque, che nell'opera di Fedriani si ritrovano moltissimi sapori della cultura, non soltanto grafica, francese. Certe eleganze, certe svagatezze, certi ammiccamenti, certe devianze, certe leggerezze, persino certe crudeltà s'impongono senz'ombra di dubbio più in consonanza con le attitudini intellettuali dei cugini d'Oltralpe che non dei fratelli d'Italia. Una dimostrazione evidente è ad esempio anche il ricorso costante di Fedriani al calembour: linguistico e letterario, citato direttamente in francese, nella titolazione dei suoi disegni; e invece grafico, anzi quasi concettuale, nel contenuto spiazzante di molte sue opere. Su tutto aleggia il nostalgico profumo musicale della douce France di Charles Trénet, con la paglietta, e di Maurice Chevalier, col bastone da passeggio. Forse c'è anche un po' di Brel e di Brassens e un pizzico di Gainsbourg; sicuramente qualcosa di Edith Piaf e Juliette Gréco, fino a Françoise Hardy... C'è senz'altro un sentimento poetico, ora "vitalistico" e ora "umanistico", che attraversa via via la provincia profonda di Maupassant, la Parigi di Balzac, la belle époque di Toulouse-Lautrec, i bistrots di Hemingway, la banlieue di Jean Gabin, la Bretagna di Gauguin, la Cóte d'Azur di Picasso...
Atmosfere.

Ma artistico e letterario è l'intero universo di Fedriani, rimbalzante di echi eterocliti che s'incrociano sottilmente. A chiedergli che cosa lo influenzasse, una volta aggiungeva: «I temi di alcuni grandi narratori che prediligo, certi classici della letteratura americana e mitteleuropea. Anche stralci di autobiografia (ripenso ad alcuni momenti dell'Autobiografia di tutti di Gertrude Stein che mi piacerebbe davvero illustrare) che potessero servire da moltiplicatore per alcune mie sensazioni. Per tutti potrei citare Francis Scott Fitzgerald e Franz Kafka: I racconti dell'età del jazz, Il grande Gatsby, per esempio, o racconti brevi come Il ponte, La gita in montagna, Nella colonia penale, che mi hanno fortemente suggestionato».

E si potrebbero aggiungere Jack London e Jules Verne, Alfred Kubin e Odilon Redon, Max Klinger e Félix Vallotton, Krazy Kat e The Katzenjammer Kids, Nadar e Daumier, Dürer e Piranesi, Whistler e Rops, Morandi e Giacometti, Truffaut e Buñuel, Monet e Fattori, Magritte e Chagall, Hokusai e Kurosawa, Doré e Goya, Hopper e Lichtenstein, Cézanne e Matisse, Pericoli e Luzzati... ad libitum.

A ciò si aggiunga la consuetudine formativa con il tecnigrafo, e si potrà capire il suo senso dell'orizzonte e dello spazio, quindi il suo "senso della misura" e della scenografia; ma soprattutto, per contiguità all'atteggiamento dello scrittore (o del musicista), l'immedesimazione addirittura con l'atteggiamento del pittore. Anche Fedriani, ufficialmente, è un "pittore"; ma, più in profondo, egli è un "curioso del pittore" ("-dei pittori", "-della pittura"). Ciò significa, molto semplicemente, che per un verso ama guardarsi indietro, nello studio e nell'affezione dei grandi del passato; mentre per l'altro verso ama sbirciare in avanti, oltre il marasma del presente per suggerirsi delle sperimentazioni nell'ambito del possibile.

È indicativa la curiosità di questo artista autodidatta per le tecniche. Le ha saggiate tutte. La china, la matita, l'acquerello, la tempera, l'olio, il pennarello, la penna biro, l'incisione su linoleum, la serigrafia, il collage, la maquette tridimensionale, il monotipo a olio, e ogni genere di calcografia: acquaforte, acquatinta, puntasecca...

Il fatto è che per lui, in un certo senso, arte e vita coincidono. O meglio: non possono essere scisse. Molti dei suoi interessi vitali ormai stanno lì, tra i fogli di carta e le boccette degli inchiostri, tra le vaschette per gli acquerelli e i sempre più rari pennini d'acciaio, tra il legno pesante dei suoi tavoli e la materia impalpabile e fluttuante delle sue idee... Il suo è ormai un mondo di segni, un mondo disegnato. Nel quale - cerchiamo di capirci - i segni sono come sogni, ma anche i sogni sono come segni... Se chiamarlo "sognatore" sarebbe troppo facile, definiamolo allora "segnatore".

È vero, Sergio Fedriani preferisce il sogno (il segno?) alla realtà. E ne ha ben donde: è sicuramente troppo buono per la realtà, decisamente inadeguato ad essa. "Quando sento la parola carriera mi viene in mente la corriera che parte e tu corri per non perderla", dice di sbieco. E aggiunge disincantato: "Delusioni, un imprecisato numero. Ma le ho rimosse con un certo metodo, pur facendone tesoro. Anch'esse fanno parte della corriera, come le ruote".

Malgrado tutto, dunque, il suo approccio alla vita, come all'arte, è fondamentalmente umoristico. La sua colorata ironia e la sua lievissima malinconia non sono altro, come accade, che un funzionale esorcismo contro la realtà a volte così poco benevola. E anche tutto ciò diventa un'altra fonte d'equivoci: ora egli appare troppo umorista per essere artista, ora troppo artista per essere umorista, e così via. O, a piacere: troppo illustratore per essere fumettista, troppo incisore per essere illustratore, troppo pubblicitario per essere pittore, troppo narratore per essere incisore, troppo scenografo per essere narratore, troppo pupazzettista per essere scenografo, troppo foloniano per essere toporiano, troppo toporiano per essere foloniano... Insomma, accidenti: troppo Fedriani per essere qualcun altro?

Fedriani è Fedriani è Fedriani è Fedriani, salmodierebbe la sua prediletta Gertrude Stein. Eccolo qui: con tutti suoi pregi, naturalmente molti, e difetti, naturalmente pochi. Anzi, poiché se n'è parlato fin troppo bene ed è sempre meglio ridimensionare, chiudiamo segnalandone almeno una pecca, diciamo pure un enorme difetto: fuma troppo. E per questo, in contrappasso, ci facciamo un punto d'onore di esporlo al pubblico ludibrio.

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